
“La prima volta che l’ho vista era sera. Sara puliva il pavimento del negozio dopo la chiusura e aveva ancora il capello rosso in testa. Avevo sorriso, anch’io lo dimentico sempre.”
“Non era lei che fissavano, ma le statue di cristallo sugli scaffali del negozio.
Era diventata trasparente, come le creature che vendeva ogni giorno.”
Subito dopo aver discusso la tesi, ho cercato un lavoro per mantenermi durante i primi mesi dopo la laurea. Sono stata assunta immediatamente come addetta alle vendite con un contratto a chiamata.
Sono seguiti 2 anni e mezzo in negozio tra obiettivi di fatturato, profitto, scontrini medi, conversioni, assunzioni, licenziamenti. Spesso potevo riposare ogni 14 giorni e non mi è stato concesso nessun giorno di ferie.
Insieme al tempo libero, senza rendermene conto, ho lasciato allontanare ciò che era più importante: leggere, studiare, e anche pensare.
“Tante volte mi chiedo cosa l’abbia portato a lavorare lì. Quando ha iniziato. Perché. E adesso?”
Dopo 2 anni e mezzo l’impossibilità di un ennesimo rinnovo contrattuale ha fatto sì che l’azienda lasciasse scadere il mio contratto senza preavviso. Non avrei lavorato per 3 settimane, poi mi avrebbero riassunto come se fosse la prima volta.
Nell’entusiasmo ho prenotato un viaggio a New York.
A 12 ore dalla fine dell’ultimo turno camminavo tra le gallerie di Soho con un cupcake allo sciroppo d’acero tra le mani. Solo che in quel momento che la testa ha iniziato a bruciarmi come fa il sangue che torna ai piedi quando si sta al freddo per troppo tempo.
Nella mia testa si è fatta spazio la domanda: qual è il senso?
Così è nata l’idea di Everyday Souvenir, il mio primo progetto nato fuori dalla tiepida ovatta dell’Accademia, che ho completato durante i successivi due anni in negozio.
“Mi ha detto che anche lui aveva lavorato, che quello era il secondo lavoro. Per mantenersi. E per andare all’estero. Ma era già lontano.”
Il progetto è costituito dai ritratti delle persone che ho incontrato nella mia vita di commessa, quando i miei sogni erano coperti da percentuali di crescita e gli incubi da plaid di valori in decrescita.
Le persone erano il senso, i monumenti al mio quotidiano.
Per questo ho voluto rendere loro omaggio, come le opere nei souvenir a forma di boule de neige.
Nel progetto, ogni boule de neige è accompagnata dalla storia della persona che ci guarda dal suo interno.
“Sorridendo mi ha detto che Cloe è la figlia del suo compagno.
Teresa l’ha adottata quando aveva 19 anni. Cloe ne aveva due.
La mamma di Cloe era mancata 18 mesi prima. Teresa sorride e si emoziona.
Entra un’altra cliente. Ok per la crema alla vaniglia. Alla prossima, Teresa.”
Le persone racconto in Everyday Souvenir sono impersonate dagli attori Andrea Bellacicco (l’Uomo Biga), Giulia Briata (Teresa), Lorenzo Maragoni (l’Uomo Panda), Eleonora Panizzo (Sara), Silvia Paoli (Rosa Badon), Giorgio Sangati (Nonno Bepi), Andrea Tonin (Andrea) e Giulia Veronese (Denise), che si sono calati nella storia della persona che ho chiesto loro di rappresentare.
“Ogni giorno mi fermo e i nostri sguardi si incrociano. Almeno questo è quello che penso, perché i suoi occhi non sono sicura di riuscire a vederli.
Ogni giorno mi viene voglia di fermarmi e parlargli, chiedergli cosa l’abbia portato a sedersi lì a raccogliere monete. Quando ha iniziato. Perché.
Ma non l’ho mai fatto. Non credo parli la mia lingua.
Lui è un Panda. Di nylon e cotone.”

LE FAVOLE DI OGNI GIORNO
testo critico a cura di Roberto Mutti, 2014
Ogni tanto occorre ricordare che la fotografia, pur dando l’impressione di identificarsi con la realtà, ne è sempre e solo una rappresentazione.
Tutto ciò appare più evidente quando gli autori più audaci scelgono questo linguaggio per costruire storie che sembrano emergere solo dalla fantasia.
Serena Pea è, indubbiamente, una fotografa capace di muoversi con delicatezza in questa dimensione usando però come punto di partenza la quotidianità con cui tutti abbiamo a che fare, ma di cui lei sa cogliere i lati meno prevedibili.
E’ il caso di questa sua Everyday Souvenir, una sorprendente ricerca che nasce da incontri, dialoghi, colloqui da lei trasformati in un materiale letterario dal ritmo poetico che accompagna ritratti di personaggi reali che per l’occasione sono stati interpretati da attori per accentuare volutamente la lontananza dalla realtà.
Il senso della teatralità, data dall’incontro fra parola e immagine, non è il solo elemento cercato e perseguito con determinazione da Serena Pea.
Per rendere più coerente il discorso occorreva aggiungere un ulteriore e altrettanto importante condizione, quella dello straniamento. Ecco la ragione per cui i ritratti sono stati inseriti in snowballs da lei stessa costruiti e infine di nuovo fotografati.
Ora ci troviamo di fronte ad esseri che abitano, come i personaggi delle fiabe, in un microcosmo da cui ci mandano segnali, ci raccontano storie, ci rendono partecipi del loro vissuto.
Ancora una volta la fotografia finge di essere realtà e noi lasciamo che lo faccia consapevole della sua forza di seduzione.
Roberto Mutti
Stampa / Press
Loredana de Pace, Fiabe del Quotidiano, FOTO Cult, dicembre 2014 – gennaio 2015




